Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 1 Noè Bordignon
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(da MARCO MONDI, Noè Bordignon, in GIUSEPPE
PAVANELLO, La pittura nel Veneto. L'Ottocento (tomo II), Milano, 2003).
Bibliografia:
A. DE GUBERNATIS, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze
1889; U. THIEME, F. BECKER, Allgemeines Lexikon del Bildenden Kunstler…,
IV, Leipzig 1910; L. e F. LUCIANI, Dizionario dei pittori dell'800,
Milano 1961, pp. 77-78; A.M. COMANDUCCI, Dizionario illustrato dei pittori e
incisori italiani moderni, I, Milano 1962; S. MOSCHINI MARCONI, Gallerie
dell’Accademia di Venezia – Opere d’arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Roma
1970, p. 192, n. 461; Dizionario Enciclopedico dei Pittori e degli Incisori
Italiani, II, Torino 1972-1976; E. BENEZIT, Dictionnaire des Peintres
Sculpteurs Dessinateurs et graveurs, 2, Parigi 1976; B. PASSAMANI, L.
MAGAGNATO, Il Museo Civico di Bassano del Grappa. Dipinti dal XIV al XX
secolo, Venezia, 1978, p. 50; Gli affreschi nelle ville venete: dal
Seicento all’Ottocento, Venezia 1978, p. ; Noè Bordignon pittore veneto,
cat. a cura di P. RIZZI, mostra itinerante, 1982-1983, Venezia 1982; O.
STEFANI, L'arte di Noè Bordignon, Treviso 1986; G. FALOSSI, Venezia –
Ottocento pittorico, Milano 1986, pp. 16, 76; Pittori e pittura
dell’Ottocento italiano, 6, Novara 1997-1998; Opere della Civica
Collezione Museale, cat. a cura di M. MONDI, Castelfranco Veneto, Casa di
Giorgione e Galleria del Teatro Accademico, 15 novembre 1997 - 25 gennaio 1998,
Dosson di Treviso 1997, pp. 113-132, 223-231, nn. 107-132; Opere della
Collezione della Banca Popolare di Castelfranco Veneto, cat. a cura di M.
MONDI, Castelfranco Veneto, Galleria del Teatro Accademico, 23 aprile - 9 maggio
1999, Vedelago di Treviso 1999, pp. 44-49, nn. 16-20; M. GUDERZO, Pittura
dell’Ottocento e del Novecento, “I cataloghi del Museo Biblioteca Archivio
di Bassano del Grappa”, Vicenza 2000, pp. 56, 57, n. 36; Noè Bordignon – Vita
e opere, cat. a cura di M. MONDI, in Antiquari ai “Carraresi”,
Treviso, Ca’ dei Carraresi, 4 - 12 maggio 2002, Preganziol di Treviso 2002 (m.m.).
(da MARCO MONDI, Noè Bordignon, in GIUSEPPE
PAVANELLO, La pittura nel Veneto. L'Ottocento (tomo II), Milano, 2003).
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Lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni, galleria d’arte ed antiquariato di Castelfranco Veneto, propone in vendita dipinti antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e dipinti moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900) con particolare attenzione per i pittori veneti e, soprattutto, per i pittori veneti legati al territorio di Castelfranco Veneto. Tra questi, artisti come Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, sono quelli di cui lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni principalmente s’interessa. Pur non trattando prevalentemente arte contemporanea, lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni acquista e vende anche quadri di pittori contemporanei legati al territorio di Castelfranco Veneto, come, ad esempio, Giorgio Dario Paolucci. Pertanto, cerca e compra opere di Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, Giorgio Dario Paolucci, oltre, ovviamente a quadri di pittori antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e di pittori moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900).
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 1 Noè Bordignon
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 2 Vittorio Tessari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 3 Romolo Tessari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 4 Teodoro Wolf Ferrari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 5 Antonio Matteo Montemezzo
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 6 Luigi Serena
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 7 Giorgio Dario Paolucci
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 8 Giorgio Dario Paolucci
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 9 Giorgio Dario Paolucci
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 10 Noè Bordignon
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 11 Noè Bordignon
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadro 12 Noè Bordignon
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Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 15 Teodoro Wolf Ferrari
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Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 18 Bruno Gherri Moro
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 19 Bruno Gherri Moro
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 20 Bruno Gherri Moro
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Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 22 Luigi Serena
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Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 24 Luigi Serena
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 25 Luigi Serena
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Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 27 Angelo Gatto
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 28 Angelo Gatto
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 29 Andrea Favero
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 30 Andrea Favero
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 31 Andrea Favero
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 32 Giuseppe Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 33 Giuseppe Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 34 Giuseppe Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 35 Enrico Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 36 Enrico Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 37 Enrico Vizzotto Alberti
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 38 Vittorio Tessari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 39 Vittorio Tessari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 40 Romolo Tessari
Acquisto vendita compro vendo dipinti quadri 41 Romolo Tessari
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NOÈ BORDIGNON
(Castelfranco Veneto, 1841 – San Zenone degli Ezzelini, 1920),
Vita quotidiana a San Zenone,
1885 - 1890 circa
Sono opere come questa di Noè Bordignon
che hanno fatto e fanno grande la pittura veneta dell’Ottocento. L’arte, da
sempre, rivela figurativamente e qualitativamente la sintesi dell’epoca in cui
si esprime, della sua cultura, della sua storia, della sua società. Quando
l’Italia (e quindi i suoi stati) era al centro del mondo, la sua arte era
universale; quando le capitali della contemporaneità dall’allora si sono
spostate altrove, la nostra arte non ha potuto che esprimere la situazione
culturale, storica e sociale di un’area che era stata costretta a divenire
provincia. L’Unità d’Italia, nel suo intento di “omogeneizzare” un territorio da
secoli unito culturalmente ma da secoli diviso politicamente in stati, generò la
reazione opposta d’accentuare, artisticamente e non solo, le divisioni
“regionali” della penisola. Si formarono ben presto le “scuole” veneta,
lombarda, piemontese, toscana, napoletana e così via. Il dialogo e lo scambio
d’influenze e di reciproche esperienze interregionali furono subito intensi,
come intensi furono in passato i dialoghi, gli scambi d’influenze e di
reciproche esperienze tra stato e stato della penisola; sempre, nell’Ottocento e
nei secoli precedenti, tutto questo avvenne anche, sebbene in grado minore, con
gli stati d’oltralpe. L’unica vera grande differenza tra quanto successe nel XIX
secolo e quanto successe nei secoli precedenti,
mutatis mutandis,
fu il trasferimento delle capitali dall’Italia all’estero, causato proprio
dall’illusione di dare una capitale a uno stato unitario ancora bel lungi da
venire. Per Venezia e il suo territorio questo avvenne con uno sconvolgimento
traumatico che portò, negli ultimi decenni dell’Ottocento, una situazione
economico-sociale per i più disastrosa, costringendo enormi masse di persone a
cercar fortuna emigrando addirittura in altri continenti. In questo ambiente
culturale, e sociale, si colloca anche l’”avventura” artistica di Bordignon Noè
il quale, di tutto ciò, ne era pienamente cosciente, vivendolo in prima persona
molto più a fondo di tanti altri suoi colleghi pittori. L’entroterra veneto per
Guglielmo Ciardi, Alessandro Milesi, Luigi Nono e tanti dei più bei nomi della
nostra pittura della seconda metà del secolo, che l’hanno “ritratto” sotto mille
angolature, alla fine, per loro, rimaneva un universo al quale in realtà, da
pittori “di città”, non appartenevano. Il loro soggiornare nell’entroterra
veneto, pur con l’esplicito intento di dipingerlo, era come se conservasse il
sapore di una parte di quella villeggiatura che gli aristocratici e i signori di
tempi più antichi usavano trascorrere in determinate stagioni con l’intento di
svagarsi e al tempo stesso di curare i loro interessi di “Stato da terra”. Tutto
quanto gli altri pittori venivano a scoprire nella campagna veneta per ispirare
le loro composizioni, quasi fossero dei turisti di passaggio perché la loro vera
vita era altrove, per N. Bordignon, invece, rappresentava un vissuto quotidiano
profondamente amato perché era il suo, perché rappresentava il mondo a cui egli
apparteneva e di cui egli era parte integrante. A tal proposito verrebbe anche
da chiedersi se quelle diatribe e quegli scontri avuti a un certo momento con
l’ambiente artistico lagunare che l’hanno fatto tanto soffrire al punto da
scrivere, ad esempio, che la sua Pappa al
fogo, capolavoro dipinto appositamente per essere esposto alla prima
Biennale veneziana del 1895, fu «barbaramente
respinta» e che lo porteranno gradualmente a ritirarsi da Venezia nella sua
amata terraferma, lontano da polemiche, invidie e gelosie, non siano state,
contrariamente a quel che si suol pensare, alla base della sua vera fortuna
artistica. Ponendo fine, infatti, a una lunga formazione iniziata con gli studi
all’Accademia di Venezia, i viaggi studio a Roma, Firenze, forse Napoli e in
altre località italiane, e il rientro infine nella città lagunare, dove ebbe per
tanti anni il suo studio principale, il ritorno ai luoghi natii fece di lui
quello che è forse il più acuto e sensibile rappresentante della cultura
artistica del nostro entroterra a cavallo dei due secoli. Bordignon N. non poté
più sottrarsi dal contemplare con partecipato trasporto la quotidianità della
vita della sua gente e della sua terra, al punto d’arrivare a trasferirne sulla
tela l’animo più genuino e l’emozione più veritiera di quell’epoca, di quella
società e del suo ambiente paesaggistico e umano, divenendo così quel cantore
altissimo di una realtà che fu sentita, partecipata e amata da dentro, e che fu
vissuta e, soprattutto, capita con una comprensione tale come forse solo Jacopo
Bassano, prima di lui, da noi, seppe fare. Vita
quotidiana a San Zenone,
apparentemente, pare non avere alcun intento sociale perché descrive
semplicemente (sembra) un felice momento di tranquilla quotidianità campagnola
di fine secolo. È la stessa osservazione che si può fare di primo acchito anche
per La pappa
al fogo di Noè Bordignon: la tela raffigura,
semplicemente, l'interno di una cucina, dove la giovane madre e i due
figlioletti sono ritratti nell'intimità della loro umile vita quotidiana, tutto
là. Eppure, ben presto ci si rende conto che essa ha un substrato di profonde
valenze che emergono pian piano davanti ai nostri occhi; un substrato che ci
parla di economia, di società, di religione e fin anche di politica; che ci
parla di Rerum Novarum e del pensiero cristiano-cattolico verso le
condizioni della classe contadina, che ci parla della famiglia, dei suoi valori
fondamentali e dell’importanza del ruolo della donna, che ci parla del lavoro e
dell’educazione dei figli; che ci parla perfino di un nuovo modo di recuperare
la poesia di Giorgione e la spiritualità di Jacopo Bassano, di un nuovo modo di
ridar vita alla pastosità del colore veneto e alla vibrazione luministica della
materia sulla tela. Rispetto a La pappa al
fogo, Vita quotidiana a San Zenone
si muove in un’atmosfera ambientale totalmente diversa, tratta all’aria aperta,
in una tiepida giornata d’inizio primavera; eppure, anche per quest’opera, si
avverte presto che il suo vero intento va ben più al di là di una semplice, per
quanto bella e suadente, “finestra” aperta sull’Ottocento. Se noi potessimo,
infatti, immaginare d’alzarci a volo d’uccello da una sorta di visualizzazione a
livello suolo dell’inquadratura raffigurata in Vita
quotidiana a San Zenone di
Noè Bordignon,
grazie ad una specie di Google Earth ambientato nel passato, al tempo in cui
l’opera è stata dipinta, alzandoci sempre più in alto sull’Italia fino a
individuare Roma, la capitale, per poi zumare gradualmente sui palazzi del
potere politico entrandoci dentro per sbirciare nelle accese discussioni
dell’epoca sulla questione agraria e su quanto ad essa connesso, e poi potessimo
ripetere a ritroso il percorso appena fatto fino a ritornare a inquadrare la
nostra scena di Vita quotidiana a San Zenone,
ci parrebbe forse allora quasi di poter udire le parole che
Antonio Fogazzaro, nel suo
Daniele Cortis, fa dire al conte Lao
(Ladislao): «…ma non come gli altri che vi
guardano come se tirassero il mondo, e se loro, le bestie, fossero più onorevoli
di noi che ci lasciamo tirare. Adesso ti spolitichiamo… Ti invillaniamo, ti
mettiamo a urtar avanti l’Italia qua, qua, con le mani e con i piedi, sui tuoi
campi; altro che alla Camera con le parole!». Ci si renderebbe conto,
allora, di come Vita quotidiana a San Zenone
non sia semplicemente la raffigurazione, felicissima, di un sereno momento di
vita quotidiana di fine secolo. Come ne’
La pappa al fogo,
anche in questo dipinto si avverte ben presto che il soggetto raffigurato
s’investe di significati profondi, grazie ai quali questa
“finestra” aperta
sull’Ottocento ci racconta di una vita quotidiana piena di un’umanità, di un
vivere in armonia con e nella natura in un modo che oggi abbiamo perso o, per lo
meno, che la gran parte di noi oggi ha perso. È chiaro che il confronto tra
l’”aristocratico” Antonio
Fogazzaro scrittore e
il “campagnolo” Bordignon Noè pittore è al quanto
labile, scaturendo le loro personalità da due contesti sociali profondamente
diversi, che hanno reso il primo un cristiano democratico dalle idee arditamente
innovative a vantaggio di una nazione «sciolta
da qualunque legame con qualunque chiesa, ma profondamente rispettosa del
sentimento religioso», il secondo un cristiano cattolico praticante
fermamente convinto della grande funzione da sempre svolta dalla Chiesa in
ambito socio-educativo. Tuttavia, la posizione che Fogazzaro fa prendere al
conte Lao, che sotto certi aspetti rappresenta il passato legato alla storia e
alla tradizione della Serenissima, pur cogliendo la situazione dall’angolatura
privilegiata di un vecchio e nobile possidente, trova più punti di contatto con
la visione “semplice” ma altrettanto radicata di Noè Bordignon, soprattutto
quando la esprime in opere come Vita quotidiana a
San Zenone. Il
messaggio (o monito) che Noè Bordignon
sembra infatti volerci dare, si manifesta in un’architettura pittorica che
ritrae un universo che ha sedimentato l’armonia di vita tra uomo e natura grazie
a un’evoluzione durata secoli; un universo “cristallino” fatto di un equilibrio
bilanciato tra vita, lavoro, famiglia e natura, dove l’una non può esistere
senza l’altra perché dell’altra ne è un tutt’uno inscindibile; un universo
“estetico” dove si pratica un recupero della visione poetica settecentesca (e,
prima ancora, verrebbe da dire cinquecentesca e, ancora una volta,
paesaggisticamente giorgionesca) di un’arcadia pastorale e idilliaca caricata,
però, di una serietà di vita che il secolo precedente non conosceva, perché
investita di un significato sociale che nel XVIII secolo troppo spesso si
farciva di frivolo brio rococò; un universo “sociale” che non necessità di un
Deus ex machina
per migliorare la sua condiziona di vita poiché questa, pur nella dura e
difficile esistenza quotidiana, ha raggiunto un tale grado di maturità umana,
morale e perfino culturale, per il quale un intervento dall’alto, politico, non
farebbe che sgretolarlo, com’è difatti poi successo; un universo di “civiltà”
che davvero avrebbe potuto dare il suo grande contributo a
«urtar avanti
l’Italia qua, qua», con un lavoro fatto «con
le mani e con i piedi, sui… campi», come ebbe a dire il conte Lao (ed è su
questo piano che avviene il punto di contatto tra lo scrittore Fogazzaro e il
pittore Bordignon). Noè Bordignon, in opere come
Vita quotidiana a San Zenone, ha saputo rappresentare quella
dignità del lavoro generato, appunto, «con
le mani e con i piedi, sui… campi»; quella dignità del lavoro che si è fatta
parte integrante della vita umana, perché a essa non solo è legata ma da essa ne
è inscindibile; quella dignità del lavoro che ha fatto sì che un secolo dopo da
noi potesse rinascere il germe che ha portato il nostro territorio, pur con non
poche degenerazioni e contraddizioni, a quello che è stato definito il
boom del Nord-Est (che oggi hanno
voluto distruggere) o, meglio, la “mentalità” del
boom del Nord-Est, per cui la vita
coincideva col lavoro e viceversa, senza che uno togliesse all’altra la gioia di
essere persone positive, moralmente sensibili, religiosamente rispettose,
umanamente civili ed economicamente produttive. E ciò ha portato un notevole
cambiamento della prospettiva con cui si è guardata la realtà del nostro
entroterra fino a pochi anni fa, o di come l’ha guardata e l’ha proposta
Bordignon Noè un secolo fa, poiché così la si è potuta, e la si poteva,
riscattare dalla costrizione provinciale per farla tornare ad avere valenza
universale (motivo per cui il cosiddetto boom del Nord-Est è diventato un modello imprenditoriale per tutta
l’Italia e un modello imprenditoriale anche per l’estero, se si pensa che
persino i Giapponesi e gli Americani venivano a studiarlo). È come se Bordignon
N, avesse voluto rispondere alla nascente civiltà dell’industria e della
politica centralista del neonato Stato italiano parlando volutamente uno
schietto idioma che da dialetto è ritornato a essere lingua, letteratura,
poesia. Vita quotidiana a San Zenone,
allora, ci porta a considerare il significato della sua rappresentazione
spingendoci ad andare ben più in là di quanto di primo acchito si presenta come
una bella e suadente “finestra” aperta sull’Ottocento veneto. Ma N. Bordignon
non sarebbe stato l’artista alto e sensibile che fu, se non fosse stato in grado
di esprimersi figurativamente con un ductus
pittorico di altissima qualità, capace di fondere il contenuto con la forma, i
valori della sua epoca con il linguaggio espressivo dei suoi tempi, condizioni
tutte indispensabile affinché possa nascere il capolavoro in arte: per questo,
Vita quotidiana a San Zenone
è un capolavoro della pittura veneta dell’Ottocento. Che Noè Bordignon fosse
emotivamente sensibile e profondamente coinvolto dal soggetto di una
raffigurazione come questa, lo prova il fatto stesso che la quotidianità e i
luoghi ritratti erano quelli che ogni giorno lui aveva davanti ai suoi occhi: lo
scorcio di San Zenone rappresentato, infatti, è quello che egli poteva vedere,
un po’ più in lontananza, da casa sua. Il punto esatto dove ha posato il
cavalletto è a poche decine di metri dalla sua abitazione e si può dire che
oggi, tutto sommato, questo scorcio, topograficamente non è cambiato molto:
davanti agli edifici passa una strada e solo il casone a sinistra è adesso
nascosto da un’abitazione di recente costruzione. Andando nel luogo, ci si
accorge subito, però, che quel che è più cambiato è proprio quel senso di
armonia tra uomo, natura, lavoro e quotidianità che trapela forte da
Vita quotidiana a San Zenone.
In questo dipinto, la composizione è piuttosto semplice e riprende in modo
abbastanza tradizionale una veduta paesaggistica veneta di fine secolo. Un’ampia
distesa di prato apre la profondità prospettica scandendola dal ritmo delle
diagonali tracciate dal falcio dell’erba e s’incunea verso destra fino al primo
casolare, trovando i suoi limiti in prossimità del filare di viti e dei panni
bianchi stesi al sole. A misurare le distanze, vi è prima la bambina seduta in
basso e poi l’uomo seduto in alto, il quale coincide quasi esattamente con il
centro del dipinto in modo tale da far sì che, dopo l’accesa nota cromatica
della bambina, alla quale spetta la funzione di un “la” introduttivo, questi
divenga l’elemento che ci conduce, tracciando un’altra direttiva visiva
(bambina, uomo al centro, gli altri personaggi), al gruppo di figure posto
giusto all’incrocio di tutte le diagonali della metà inferiore del dipinto; da
questo punto, allora, si aprono le due linee prospettiche di profondità che
portano alle lontananze del secondo piano, dove, quella che segue perpendicolare
i casolari di destra, assieme a quella breve del casolare a sinistra, sposta il
nuovo punto di fuga prospettico nell’orizzonte lontano della vegetazione e delle
collinette. Al di sopra di tutto, un cielo azzurro solcato da soffici e bianche
nuvole conclude la composizione, marcando la solarità della luce che accende
tutta la raffigurazione sottostante, nella quale la proiezione delle ombre
permette di stabilire con una certa precisione l’ora del giorno, oramai prossima
al mezzogiorno. Così come, più ancora degli alberi e della vegetazione non
ancora fiorita o delle viti ancora lungi dal dare il loro frutto, è sempre la
luce a indicarci la stagione dell’anno in un inizio di primavera che porta
nell’aria ancora un po’ di frizzante frescura invernale ma dove il sole già
scalda e ristora, inondando il verde del prato di pallide tonalità di vita che
ben presto si caricheranno di cromatismi ben più rigogliosi. E questa luce, è
una luce tipicamente veneta; una luce che riscopriamo negli stessi anni anche in
opere di altri pittori, come Giacomo Favretto, Luigi Nono o, soprattutto,
Guglielmo Ciardi. Una luce che non è quella dei Macchiaioli, fatta di
giustapposte e pure campiture cromatiche, e neppure quella solare e calda dei
Napoletani, bensì quella della materia che
si fa “magma vulcanico” in Tiziano e in Jacopo o che è tratta in accese e
incandescenti sciabolate in Tintoretto: si osservi, a tal proposito, come il
cielo terso esalti i fasci d’onde verdi-giallastri dell’erba del prato, vibrati
tutti di una luminosità che si percepisce, con un fare quasi impressionistico,
in tutto il suo valore solo a una cera distanza, o il magma della materia
cromatica fatta di tocchi pastosi e di getto che accende di bagliori le vesti
della bambina in primo piano, il suo cesto e il panno bianco che vi sta dentro,
o, ancora, quella magistrali pennellatine di “sole” che delineano alcuni dei
contorni dell’uomo seduto al centro e che danno vita credibile al filare di viti
poco dietro. Con quella che sembra una sorprendente facilità di dipingere grazie
a un pennello che si muove con sicurezza sulla tela e che tradisce un profondo
amore per quello che sta ritraendo, Noè Bordignon dà prova di saper
rappresentare un istante reale della quotidianità del suo mondo senza mai
tradirsi alzando la voce verso un linguaggio figurativo retorico o di messa in
scena teatrale che vuol rappresentare il vero fingendo la realtà. La sincerità
della pittura di Noè Bordignon, ci parla con un idioma autentico e schietto,
ponendo davanti ai nostri occhi il sentimento, l’emozione e la moralità di una
“civiltà contadina” che aveva ancora molto da insegnare a una società
proto-industriale, quella di fine inizio secolo, che, prediligendo i grandi
agglomerati cittadini, rischiava di sradicare il nostro entroterra dal suo
habitat di sempre per condurlo, come
poi in parte ha fatto, verso un’alienazione e uno stato di disagio dove pareva
quasi si volesse estraniare la coscienza di tutto un territorio da se stessa.
Bordignon Noè, con la qualità silenziosa della sua pittura, ci presenta un
mondo, il suo, ancora ricco di dignità morale e di etica sociale, che sono tra
le peculiarità più preziose del nostro entroterra. La stessa scenetta di lavoro
domestico e agricolo che ci propone nel secondo piano in prossimità dei primi
casolari, si svolge all’ombra di una serenità generalizzata di cui essa stessa è
parte unitaria, allo stesso modo per cui il realismo con cui sono delineati gli
edifici nella loro semplice ma comoda e funzionale essenzialità abitativa, si
fonde armoniosamente col paesaggio naturale che li circonda. Si fonde con il
paesaggio naturale ma anche, verrebbe da dire, con il “paesaggio storico” del
luogo: si noti solo, a tal riguardo, come si può intuire che l’architettura del
primo caseggiato di destra risalga verosimilmente al tardo Cinquecento, o come,
nella parete del terzo edificio, sopravvivano lacerti di un affresco antico (che
tuttora esiste e che dovrebbe raffigurare una Madonna e un santo, forse san
Giuseppe o san Cristoforo col Bambino Gesù sulle spalle) tratti con pochi tocchi
materia cromatica. La minuziosità descrittiva dei più minuti particolari,
infatti, si risolve in un tratto compendiario che, come s’è già detto per il
prato, trova talvolta assonanze con spunti impressionistici, quando in realtà,
però, non è altro che il modo di dipingere con pennellate di colore-luce, che è
la caratteristica prima della pittura veneta da Giorgione in poi.
Stilisticamente, Vita quotidiana a San Zenone
di Noè Bordignon può sensatamente essere databile all’ultimo decennio
del XIX secolo, o forse anche a qualche anno prima, e i timbri con la scritta “Made
in Italy” posti sul verso della tela assieme alla scritta a matita in inglese
sul telaio (“Landscape by Bordignon”) e alla presenza di un’etichetta col numero
“24”, ci porta a supporre che il pittore, a un certo momento, l’abbia inviata a
una mostra all’estero, come spesso ha fatto anche con altre sue opere. La tela
di Noè Bordignon
è tornata in Italia dopo essere stata acquistata negli Stati Uniti, in una città
nei pressi di Filadelfia, e anche questo fa supporre l’invio dell’opera in
America per una mostra, come, ad esempio, aveva fatto per la
Cresima, già premiata a
Berlino nel 1894 e inviata all’Esposizione Universale di Saint Louis il 18
febbraio 1904. Vita quotidiana a San Zenone
di Noè Bordignon,
se così fu, dovette essere considerata dall’artista stesso come un’opera degna
di rappresentarlo all’estero, cosciente di esporre non un semplice dipinto, ma
una tela in grado di testimoniare i valori della sua terra, presentati in una
sintesi figurativa che fosse capace di elevarsi fin quasi a una sacralità
spirituale di un Realismo veneto interpretato davvero con il cuore e dove le
figure sedute della bambina e dell’uomo paiono riallacciarsi
alla una tradizione genuinamente nostrana delle cosiddette “figure
accoudée”, con le quali, per taluni critici, Jacopo Bassano
combinava forma e contenuto in una rappresentazione espressiva che vorrebbe
significare forse sofferenza ma forse anche contemplazione, ammirazione,
rispetto per un mondo che noi oggi possiamo solo guardare con meraviglia perché
forse non ci appartiene più.
N. Bordignon - Per avere informazioni su altre opere di Noè Bordignon, contattare la Galleria- Bordignon N. Si acquistano opere di Bordignon Noè dopo averne esaminato preventivamente le foto (Noè Bordignon).