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NOÈ BORDIGNON (Castelfranco Veneto, 1841 – San Zenone degli Ezzelini, 1920),    Mamma col bambino all’interno della basilica di Santa Maria del Popolo a Roma, 1875 (datato), olio su tela,  cm 59 x 49 (non più disponibile).

NOÈ BORDIGNON (Castelfranco Veneto, 1841 – San Zenone degli Ezzelini, 1920), Mamma col bambino all’interno della basilica di Santa Maria del Popolo a Roma, 1875 (datato), olio su tela, cm 59 x 49 (opera non più disponibile).

 

 

 

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NOÈ BORDIGNON (Castelfranco Veneto, 1841 – San Zenone degli Ezzelini, 1920), Mamma col bambino all’interno della basilica di Santa Maria del Popolo a Roma, 1875 (datato)

Dopo la conclusione degli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, Noè Bordignon ottenne una borsa di studio governativa per il perfezionamento artistico che gli valse un pensionato triennale a Roma (tra 1871 e il 1874). Il viaggio di studio di Noè Bordignon nella città eterna rappresentò un momento fondamentale non solo di questi suoi primi anni d’attività, ma per la sua intera carriera d’artista. Infatti, in un certo senso come fu per Tiziano, quando tre secoli prima se andò nell’Urbe ospite di papa Paolo III Farnese a “esaurire” la sua cosiddetta “crisi manieristica” per poter finalmente reinventare il colore della pittura veneta, anche per Bordignon Noè questo lungo soggiorno a Roma (non senza rapporti con la pittura napoletana e con l’ambiente artistico toscano e dei Macchiaioli), rappresentò l’occasione di vedere, conoscere e studiare l’arte allora più in voga del Romanticismo italiano, con una particolare attenzione verso Puristi e Nazzareni, e un passato artistico-culturale straordinario, che spaziava dall’antichità per antonomasia al Rinascimento di Michelangelo e di Raffaello, dal realismo di Caravaggio al classicismo dei Carracci, di Reni e di Poussin, dal trionfo del Barocco e di Bernini all’ambiente dell'Accademia di Francia e delle schiere dei pensionanti francesi al Prix de Rome, da David a Ingres. Un universo figurativo, insomma, che permise a N. Bordignon di dar sfogo a un apprendimento pittorico dal quale, gradualmente, come fu per il cadorino, ritornerà a sentirsi e a voler essere pienamente veneto, nel colore e nella composizione. Suoi successivi soggiorni a Roma nel corso dell’Ottavo decennio, probabilmente con altre tappe, necessari affinché potesse esaurire il più possibile ogni retaggio accademico-tradizionalista a vantaggio di un Verismo che andrà a trovare nel colore la sua più genuina espressione veneta, sono testimoniati proprio dalle opere di questi anni. Oltre a La mosca cieca, saggio finale del pensionato presentato da Noè Bordignon ai professori dell’Accademia di Venezia, il dipinto Lo scherzo reca sotto la firma la dicitura “Roma” (e potrebbe essere anche antecedente a La mosca cieca stessa); la Civica Raccolta Comunale di Castelfranco, conserva un grande Ritratto di Umberto I re d'Italia che reca la dicitura “Roma 1880”; in collezione privata, si conservano alcuni album di disegni dove esplicitamente si fa riferimento alla capitale, ai suoi quartieri, alle sue chiese e ai suoi monumenti, con tanto di date; nel 1878, in più, all’Esposizione dell’Accademia di Belle Arti di Venezia risulta esposta l’opera Contadina in chiesa all’Ara Coeli a Roma; in un manoscritto autografo di Bordignon N., infine, si legge che un dipinto intitolato La ciociara in S. Prassede, a Roma, fu inviato dal pittore a Firenze. A tal proposito, di grande rilevanza storica per Noè Bordignon e per la sua attività, viene ad assumere anche l’opera qui presa in esame, poiché, appunto, reca la dicitura “Roma 1875” (l’ultimo numero della data, che apparentemente sembrerebbe un “8”, alla lettura con la lente appare chiaramente un “5”), vale a dire poco prima della realizzazione de’ La mosca cieca. Come testimoniano anche gli appena citati ultimi due dipinti, quello esposto a Venezia nel 1878 e La ciociara in S. Prassede, questo genere d’interni dovettero piacere in modo particolare al giovane Noè Bordignon se li affrontò più volte nella capitale e, soprattutto nel decennio successivo, anche a Venezia (si vedano, ad esempio, Compatrioti di Canova, Interno di Santa Maria dei Frari a Venezia, La dottrina. Lezione di catechismo o La cresima). Il nostro dipinto, trova la sua ambientazione all’interno della celebre Basilica di Santa Maria del Popolo di Roma, edificio dalla storia millenaria poiché sorto come piccola cappella voluta da papa Pasquale II nel 1099 al seguito della demolizione del Mausoleo dei Domizi Enobarbi, la tomba dell'imperatore Nerone. Dopo gli interventi di Bramante, di Raffaello e di altri architetti, nel XVII secolo fu nuovamente restaurata da Gian Lorenzo Bernini, che gli diede l’aspetto barocco che sostanzialmente la caratterizza ancora oggi. Al suo interno si conservano preziose opere del Pinturicchio, di Andrea Sansovino, di Carlo Maratta, di Raffaello, del Bernini stesso, del Lorenzetto, di Francesco Salviati, di Sebastiano del Piombo, di Raffaello da Montelupo, di Raffaele Vanni, di Caravaggio, di Annibale Carracci e di tanti altri importanti artisti. Nella nostra tela, Bordignon Noè si è concentrato a dipingere la sua scenetta di genere dandoci un ritratto fedele, preciso e minuzioso di un’ala piuttosto ristretta della basilica, nella quale, però, si possono chiaramente individuare le opere d’arte in essa esistenti. Spicca, per il grande risalto datogli, il Monumento funebre del cardinale Giovanni Gerolamo Albani, realizzato da Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo alla fine del XVI secolo, collocato nel pilastro d’angolo tra il transetto di destra e la quattrocentesca cappella Costa, che s’intravede in ombra risolta con una bilanciata prospettiva esaltata dall’abbagliante luminosità della vetrata del finestrone (dal punto di vista della documentazione storica sulla basilica, la testimonianza della vetrata raffigurata da N. Bordignon in questo dipinto, con la santa dentro una rigogliosa cornice ovale, è assai importante poiché, oggi, quell’opera non esiste più). Sulla parte destra della cappella Costa, al di là dell’originale balaustra quattrocentesca, si scorge il Monumento a Marcantonio Albertoni, realizzato nel 1487 da Jacopo d'Andrea da Firenze, mentre appena accennato, ma quasi invisibile, è la base di uno dei lunotti dipinti da un collaboratore del Pinturicchio, stilisticamente affine da Melozzo da Forlì (è interessante rilevare, e forse per questo la scelta dello spazio interno della basilica fatta da N. Bordignon non fu casuale, che la cappella Costa conserva anche il monumento sepolcrale del cardinale veneziano Pietro Foscari, opera di Giovanni di Stefano da Siena, dov’è collocata la statua bronzea del Vecchietta, fusa nel 1480). Sulla sinistra del monumento realizzato dal Paracca, assai di scorcio e colto solo in parte, si può vedere il Monumento al cardinale Lodovico Podocataro (morto nel 1504), un elegante mausoleo scolpito da alcuni collaboratori di Andrea Bregno: nel nostro dipinto è riconoscibile lo stemma e parte del Compianto del basamento, la prima scultura in basso della lesena destra e una piccola parte del sarcofago con la statua del cardinale (si noti che il tavolo posto a ridosso di questo monumento, pare lo stesso di quello che ancora oggi là si trova). Il particolare dell’interno della basilica, quindi, scelto da Noè Bordignon per la nostra tela, si presenta a livello compositivo piuttosto semplice, essenziale e sobrio, sebbene l’architettura dello scorcio inquadrato sia piuttosto ardita e dettata da un ritmo di penetrazione spaziale zigzagato che inizia in basso con la geometria dei marmi del pavimento, trova un prima sosta nelle figure della mamma e del bambino per proseguire successivamente obliqua in due direzioni, aventi entrambe come perno di rotazione l’imponenza data al Monumento del cardinale Giovanni Gerolamo Albani: una, brevissima di bilanciamento, a sinistra verso il transetto, l’altra, più ampia, verso la cappella Costa, dove l’elegante balaustra fa da limite anche cromatico-chiaroscurale al vano interno della cappella stessa. Il ritmo zigzagato riprende poi, a destra, nella direzione opposta a quella appena tracciata, attraverso le direttive del Monumento a Marcantonio Albertoni e del fregio di trabeazioni in alto, fino a concludersi con la nota più luminosa di tutto il dipinto, la vetrata con l’effigie della santa, che regge tra le mani la palma del martirio. Dal punto di vista strettamente cromatico, due sono le note principali che ravvivano la raffigurazione: la mamma col bambino in primo piano e la santa sulla vetrata, che della prima ne riprende le tonalità accendendole di un’intensità luministica quasi accecante al fine, forse, di esaltarne una velata valenza simbolica. Ad animare ulteriormente il biancore marmoreo che caratterizza buona parte della restante superficie del dipinto (già di per sé assai movimentata da notevoli giochi chiaroscurali), oltre alle due maggiori note cromatiche suddette, intervengono due discretissimi “suoni” acuti rappresentati dai bagliori luministici dell’oro scintillante dalla lampada, realmente sospesa all’interno della cappella, e dalla delicata presenza dell’arancia sulla pavimentazione in basso a destra (forse memore del frutto similmente posizionato da Jacopo Bassano nella tela oggi conservata al Museo Civico di Bassano del Grappa e raffigurante San Valentino battezza santa Lucilia, a riprova di come il giovane Noè Bordignon già da questi anni sentisse sua naturale esigenza, anche a livello iconografico, seguire le orme della gloriosa tradizione artistica veneta del passato). Se la magistrale nota della lampada realmente sospesa fa da perno attorno al quale gira tutto l’interno visibile della cappella e, assieme alle eleganti balaustre, scandisce la profondità spaziale del vano, o, con un ritmo più maestoso il Monumento del cardinale Giovanni Gerolamo Albani regola verticalmente e orizzontalmente le principali direttive della composizione, quel piccolo frutto arancione reso reale dall’azzeccato tocco di biacca sulla sua sommità, rende altrettanto viva e credibile la scenetta (che così diventa di genere), della mamma seduta sulla sedia in un composto riposo religioso mentre tiene tra le braccia il bambinetto che, visto l’arancio a terra, allunga la manina a manifestare il desiderio di prenderlo. È una scenetta di genere la quale, come spesso succede in tante altre opere di Noè Bordignon, c’è proposta intrisa di significati allusivi fin quasi a presentarci la bella e giovane ciociara e il suo figliolo con la riservata sacralità della Madonna col Bambino. Pittoricamente, la tela mostra un’impeccabile maestria esecutiva che mostra un giovane Noè Bordignon già artista maturo e capace di un proprio linguaggio figurativo, in grado di rendere con minute pennellate tanto le decorazioni architettoniche e le sculture della basilica, quanto le figure, vere e in carne e ossa, dei suoi due protagonisti. Un tocco sciolto, deciso e svolazzante del ductus pittorico va a identificare ogni parte della raffigurazione, per diventare più minuto e calcolato quando l’esigenza di rendere veritiere le fisonomie, certi dettagli, certi deliziosi particolari o certe direttive compositive lo richiede. In particolar modo, se nelle sculture, come, ad esempio nei due angioletti che reggono lo stemma alla sommità del Monumento del cardinale Giovanni Gerolamo Albani, o nell’effigie stessa del cardinale, si sente tutta la freddezza “viva” della scultura realizzata in marmo (che è già la stessa di quella che, quasi un decennio dopo, caratterizzerà la tomba del Canova in Compatrioti di Canova), così come nei marmi della pavimentazione, in quello del basamento stesso del monumento all’Albani o nel gradone, consulto dal tempo, nella mamma col bambino il colore si dota di una morbidezza spumeggiante e pastosa, intrisa di una luce che è tutta veneta, dove, come nelle più o meno coeve figure de’ La mosca cieca o de’ Lo scherzo, anche là dove la minuziosità del tocco si rende necessaria, Bordignon Noè dimostra di essere già sulla strada di quel Realismo veristico che, proprio a partire da lì a qualche anno, farà della pittura veneta, e di quella stessa di N. Bordignon, una delle voci più alte e importanti di tutta l’arte italiana (e non solo) della seconda metà dell’Ottocento. Si rende noto, infine, che in collezione privata si conservano due disegni di Noè Bordignon che possono sicuramente essere messi in relazione con quest’opera quali idee preparatorie del risultato finale qui ottenuto. Il primo di questi raffigura lo stesso scorcio dell’interno della Basilica di Santa Maria del Popolo con un’iniziale idea della mamma col bambino; interessante qui notare come Bordignon Noè aveva supposto di arricchire la composizione con altri personaggi; altri due schizzi della mamma col bambino, mostrano altre varianti studiate dall’artista. Il secondo disegno di Noè Bordignon, invece, si concentra solo sulle figure della mamma col bambino mostrando tre possibili varianti, due delle quali con un altro bambinetto inginocchiato dietro la sedia (variante presente anche nell’altro disegno), e una appena tracciata; alle spalle della prima raffigurazione in alto, si scorge la balaustra quattrocentesca che delimita l’ingresso alla cappella Costa.

 

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Lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni, galleria d’arte ed antiquariato di Castelfranco Veneto, propone in vendita dipinti antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e dipinti moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900) con particolare attenzione per i pittori veneti e, soprattutto, per i pittori veneti legati al territorio di Castelfranco Veneto. Tra questi, artisti come Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, sono quelli di cui lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni principalmente s’interessa. Pur non trattando prevalentemente arte contemporanea, lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni acquista e vende anche quadri di pittori contemporanei legati al territorio di Castelfranco Veneto, come, ad esempio, Giorgio Dario Paolucci. Pertanto, cerca e compra opere di Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, Giorgio Dario Paolucci, oltre, ovviamente a quadri di pittori antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e di pittori moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900).

 

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