Acquisto vendita compro vendo quadri 9 Giorgio Dario Paolucci

GIORGIO DARIO PAOLUCCI (Venezia, 1926), Venezia, anni Cinquanta del XX secolo, olio su tela, cm. 70 x 100 (non più disponibile).

GIORGIO DARIO PAOLUCCI (Venezia, 1926 - Asolo, 2019), Venezia, anni Cinquanta del XX secolo, olio su tela, cm. 70 x 100 (opera non più disponibile).

 

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Acquisto vendita compro vendo quadri 7 Giorgio Dario Paolucci

Giorgio Dario Paolucci, abbandonato il liceo per studiare come autodidatta, sebbene viva a Venezia per lungo tempo, alternando viaggi in Italia e all'estero studiando le varie etnie, è a Castelfranco che concentra il suo lavoro e da dove si fa conoscere internazionalmente; la sua lezione artistica è stata, e lo è tutt'oggi, una delle più alte e sentite tra quelle che, autoctone o no, la città ha visto nella prima parte della seconda metà del nostro secolo. La sua forte e sonora personalità artistica ha rappresentato anche per alcuni pittori locali un importante punto di riferimento e di partenza, talvolta, spesso, però non compresa in tutto nella sua portata. La sua attività inizia nel primo dopoguerra, da principio timidamente, poi in maniera sempre più forte e schietta, legata strettamente alle più giovani e rappresentative personalità attive nel cenacolo veneziano; cenacolo di giovani aperto sostanzialmente, e finalmente, a tutto, vuoi perché essi stessi cercavano direttamente un dialogo di vasta apertura culturale attraverso contatti proficui e fruttuosi con le più importanti voci ed esperienze artistiche dell'epoca, vuoi perché la città continuò come sempre ad essere un richiamo per artisti italiani e stranieri, grazie anche all'istituzione Biennale. Tra i giovani, allora, vi erano, con molteplici sfumature e differenze, due principali filoni espressivi: quello dei "figurativi" e quello degli "astrattisti". Filoni in continuo conflitto, ma che non potevano prescindere uno dall'esistenza dell'altro. Paolucci fu sempre fedele al figurativo, anche nelle sue composizioni più allucinate e, la sua poetica, in continuo contatto e rapporto con la natura. Natura che va intesa nel senso dell'essere un tutt'uno con l'uomo. Quella natura rurale veneta antica, atavica, ancestrale, che per secoli l'uomo ha modificato ma, nell'inseparabile sofferto e sudato rapporto, ha modellato e formato l'uomo stesso. In questo senso Paolucci coglie uno dei caratteri più profondi e rappresentativi della civiltà veneta; di quella civiltà veneta che s'è sempre occultata dietro alle glorie della Serenissima, ma che al raggiungimento di quelle glorie ha contribuito senza sosta quale parte silenziosa e discreta, impossibile da scindere da quella che fu, per secoli, la Repubblica veneta. Il rapporto tra uomo e natura aveva trovato in passato vertici assoluti di armonia, di equilibrio e di rispetto reciproco scaturiti grazie a quella pax del buon governo che aveva dato origine, tra le altre cose, al fenomeno unico ed irripetibile quale fu quello delle ville venete, dell'architettura-natura delle creazioni del Palladio e dei "palladiani", della solarità e della sontuosità delle pitture del Veronese e dei "veronesiani", del <<dialogo di vil­la>>. L'armonia tra uomo e natura fu uno dei vertici più alti toccati dalla cultura veneta. Paolucci reagì da subito ai tradizionali accademismi oramai stantii e decaduti. Percorse con convinzione la strada dell'espressionismo figurativo e realistico, nel quale sono ravvisabili precisi rimandi alle lezioni dei grandi maestri storici e di quelli contemporanei; lezioni che gli son servite per dar vita ad un linguaggio forte, cromaticamente violento, gestualmente talvolta addirittura offensivo, ma sempre originalmente e personalmente veneto. Perché? La pittura di Paolucci, come in questo bello ed inquietante dipinto del 1948 ca., descrive il paesaggio non nella mimesi, che è quasi un pretesto, ma nella sua tradizione storica che va irrimediabilmente ed ineluttabilmente scomparendo. Le sue opere stanno agli antipodi dei raggiungimenti della grande pittura veneta del Rinascimento, ma da quelli discendono per via diretta. Sotto sotto, il linguaggio è lo stesso, traspira lo stesso sentimento, lo stesso amore, solo che non può più essere come un tempo testimonianza di armonia e di sintonia; il suo lessico deve adesso per forza di cose testimoniare la crisi profonda di un mondo in agonia. In questo sta l'espressionismo violento della pittura di Paolucci. La sua poetica è una denuncia urlata e sofferta di una civiltà in via di estinzione, di una civiltà veneta dell'entroterra che sopravvive solo in alcuni aspetti, non in tutti, di un mondo rurale che miracolosamente, come uno spettro, può ancora essere scoperto incontaminato, genuino; di un mondo che sopravvive nei lineamenti e nelle espressioni di certi volti scalfiti e modellati dalla fatica, di certi interni di case e di chiese, di certe "stregonerie" popolari. Paolucci, in questo senso, è stato e rimane l'unico artista veneto a rivendicare l'essenza più profonda della nostra cul­tura legata alla natura in quanto tutt'uno con essa, nella vera tradizione della natura veneta, ed egli, di nobili origini, nella sua giovanile violenta e totale ribellione al nuovo conformismo, si trovò a combattere per la propria terra con lo spirito più nobile ed antico. Forse, sempre in questo senso, deve essere letto anche il suo ritiro campestre (ritiro che risale al 1966, dopo la sua ultima partecipazione alla Biennale veneziana, in cui espose opere che riassumevano i noti "interni" ed "esterni" della nostra civiltà scomparsa), dove, come un eremita dell'arte chiuso nella sua roccaforte, ha continuato in silenzio la sua ricerca verso la propria esperienza di inesauribile perfezione.

(tratto e modificato da: Marco Mondi http://www.museocastelfrancoveneto.tv.it/artisti/183.htm).

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Lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni, galleria d’arte ed antiquariato di Castelfranco Veneto, propone in vendita dipinti antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e dipinti moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900) con particolare attenzione per i pittori veneti e, soprattutto, per i pittori veneti legati al territorio di Castelfranco Veneto. Tra questi, artisti come Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, sono quelli di cui lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni principalmente s’interessa. Pur non trattando prevalentemente arte contemporanea, lo Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni acquista e vende anche quadri di pittori contemporanei legati al territorio di Castelfranco Veneto, come, ad esempio, Giorgio Dario Paolucci. Pertanto, cerca e compra opere di Noè Bordignon, Vittorio Tessari, Romolo Tessari, Bruno Gherri Moro, Luigi Serena, Luigi Cima, Teodoro Wolf Ferrari, Francesco Sartorelli, Giuseppe Vizzotto Alberti, Enrico Vizzotto Alberti, Zaccaria Dal Bò, Giorgio Dario Paolucci, oltre, ovviamente a quadri di pittori antichi (del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, del Settecento – del XV secolo, del XVI secolo, del XVII, secolo, del XVIII secolo – del ‘400, del ‘500, del ‘600, del ‘700) e di pittori moderni (dell’Ottocento – del XIX secolo - dell’800 – fino ai primi decenni del Novecento – del XX secolo - del ‘900).

 

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GIORGIO DARIO PAOLUCCI (Venezia, 1926 - Asolo, 2019), Venezia, verso gli anni Cinquanta del XX secolo, olio su tela, cm 70 x 100 (opera non più disponibile).

Venezia, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, rimane uno dei principali centri artistici della penisola dove, a volte prima che altrove, la nuova generazione di pittori avverte subito la necessità di adeguare e aggiornare l’arte italiana al clima culturale non più, oramai, solo europeo, ma mondiale. Le esposizioni della Biennale, con tutte le sue costanti, immancabili polemiche, continuano ad essere il principale polo nazionale dove esporre e dove vedere quanto di nuovo s’è fatto in campo internazionale: il Segretario Generale Rodolfo Pallucchini iniziò, con la Biennale del 1948 (fino al 1956), una ciclo di mostre che aveva lo scopo di dare, per la prima volta nel nostro paese, una approfondita panoramica delle avanguardie storiche europee (e, incredibile a dirsi, la Biennale del 1948 fu la prima nella quale si esposero opere di Picasso!). Su questo humus qualitativo straordinariamente stimolante, si educò tutta una serie di giovani artisti che saranno, da lì a poco, aprendosi definitivamente all’arte internazionale e allacciando con essa rapporti sempre più diretti e stretti, alcuni tra i principali protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del XX secolo. Gli anni che contano della pittura di Giorgio Dario Paolucci sono proprio questi: quelli che vanno dal primissimo dopoguerra ai primi anni Sessanta; dopo, causa anche il suo allontanamento da Venezia, non hanno più valore e la sua arte diviene solo una sorta d’imitazione di se stessa ed inevitabilmente viene a scadere. Paolucci Giorgio Dario fu, e rimase sempre, un pittore legato al figurativo. Giorgio Dario Paolucci lo si può, cioè, collocare in quella schiera di artisti che, a Venezia, portò a vanti un discorso espressivo parallelo, e altrettanto aggiornato e di qualità, di quanto fece tutto quel gruppo di artisti che, con esperienze diverse, intraprese la strada dell’astratto. Una delle principali mancanze della critica contemporanea è quella di aver indagato e ben approfondito ogni aspetto di questa seconda schiera di artisti e di aver contemporaneamente pressoché ignorato le opere del primo gruppo: il risultato è che, di quegli anni “eccezionali”, si ha una visione solo parziale ed incompleta che aspetta ancora, e prima o poi qualcuno se ne accorgerà, di essere ripercorsa nella sua interezza. Anche perché, ed il dipinto di Giorgio Dario Paolucci qui preso in esame ne è uno straordinario esempio, talvolta gli esiti raggiunti da l’uno e da l’altro dei due “schieramenti” sono di sorprendente simbiosi. S’è appena detto che Dario Paolucci Giorgio fu un pittore sempre saldamente legato al figurativo; ma la Venezia (se pure è Venezia?) raffigurata in quest’opera di pittura “figurativa” è stata talmente distorta dalla necessità di rendere una visione altamente espressiva ed allucinata del dato reale, da rasentare l’astratto: per cui, non sembra azzardato, parlare di “astrattismo” figurativo. Dovrebbe essere, come qualcuno ha suggerito, una veduta dello squero di San Trovaso, davanti al quale Giorgio Dario Paolucci ha abitato; tuttavia, il dato reale della città è stato tradotto sulla tela con un impeto tanto spinto, aggressivo e graffiante da far vivere all’opera una sua autonomia compositiva ed una sua autonomia cromatica, allontanandola decisamente dal dato reale per darne una visione tutta costruita su accordi compositivi che si reggono da soli, al di là della mimesi. La lettura del dipinto, ci porta a valutare la composizione dando netta prevalenza all’impeto esecutivo di una pennellata decisa ed espressiva, che trasmette tutta la “violenza” di un sentire la materia pittorica per la sua qualità gestuale d’impasto, per la sua capacità di modellare forme e di generare effetti cromatici tra loro qua accordati e là contrastanti, ma carichi sempre di un valore luministico, e quindi di vere e proprie accensioni di luce (anche intese in negativo, nel contrasto improvviso con gli scuri), che è la vera qualità e la vera forza dell’opera. Inutile cercare gli stimoli, molteplici, che Giorgio Dario Paolucci ha colto forse proprio dalle opere di quelle avanguardie che Pallucchini aveva presentato alla Biennale: la maturità di Paolucci Giorgio Dario è ormai compiuta in un linguaggio espressivo tutto suo che, in opere come queste, si presenta come una sorta di stupefacente sintesi, o momento di passaggio, tra le allucinate visioni delle sue cosiddette “stregonerie” e la sua pittura di “paesaggio” che è, tutto sommato, in un certo senso più convenzionale. L’astrazione figurativa a cui è saputo giungere Giorgio Dario Paolucci, rappresenta uno dei vertici dell’arte veneziana di quegli anni e non è casuale, infatti, se la critica ufficiale di quegli anni vedesse in Giorgio Dario Paolucci una delle promesse più interessanti del giovane panorama artistico lagunare. E non sorprende neppure notare come questi risultati trovino riscontro in quelli raggiunti da altre forti personalità di quest’ambiente artistico, prima fra tutte, forse proprio quella dell’amico Tancredi, come subito portano a pensare le invenzioni cromatiche di quella sorta di lampade che illuminano, quasi fossero degli scoppi d’artificio, la graffiante espressività di questa tela.

 

G. Dario Paolucci - Per avere informazioni su altre opere di Giorgio Dario Paolucci, contattare la Galleria - Dario Paolucci G. Si acquistano opere di Dario Paolucci Giorgio, dopo averne esaminato preventivamente le foto (Giorgio Dario Paolucci).